Un piccolo mondo paesano

AIDONE. PANORAMA EST

Sembra che tutto si sia fermato nei secoli e che uomini e cose se ne stiano immoti ad aspettare

AIDONE 8 luglio 1951. 

Attraversammo la piana nel mattino sereno. L’Etna scioglieva l’ultima traccia di neve, giganteggiava sopra gli agrumeti di Paternò. Da questa altezza distese di campi spogli di alberi ove il verde è un oasi, le mulattiere incominciano ad essere le vie maestre e l’acqua si va a prendere con le brocche. Quando, tutta la piana rimane indietro e Castel di ludica e Raddusa sono alla destra, Aidone appare. Sta di fronte, sulla pendice di un monte che si staglia nel cielo e s’incurva in una schiena di sella, in cui l’arcione resta arditamente sospeso su una valle profonda. Ad Aidone l'abitato, le viuzze e gli orti, a levante, stanno come a un balcone, dal quale si domina la piana, i campi di Caltagirone e Lentini, i monti di Troina, il mare tra Catania e Augusta: il paese è a circa 900 metri sul livello del mare. Alla sommità del monte, donde si vede Enna, i ruderi di un castello, che i saraceni, occupato il luogo, costruirono dopo l'862 «Inaccessibil per ogni dove, sopra una rupe tagliata a picco fuso con la roccia». E lo storico paesano ci dice pure che qui nel 1411 soggiornò Bianca, la bella figlia di Carlo Navarra, andata sposa all’ultimo degli Aragonesi.

E ad Aidone gli Arabi eressero moschee (Sant'Anna e Sant'Antonio); i Normanni chiese come Santa Maria lo Plano, dalla bella torre Adelasia. Nel convento di San Michele ebbe sede un tribunale dell’inquisizione «che giudicava e puniva nelle tenebre della notte»; a un frate Leonardo si deve San Domenico, del cui tempio è rimasta la sola facciata.

I quartieri più antichi hanno viuzze strette, casette fabbricate col gesso che si sostengono a vicenda, stancamente. Ma le costruzioni in pietra arenaria rossiccia sono quelle che danno, all’occhio del forestiero, un volto al paese, il volto di un britanno, giacché la malta friabile presto denuda le facciate. Il paese si adagia pure sulle pendici di mezzogiorno e di ponente. Due piazze, un bel municipio, una passeggiata dal meraviglioso panorama. Dalla passeggiata si può andare a Sant’Anna. Qui un crocifisso di frate Umile da Petralia Sottana ci dice di un soggiorno aidonese dello scultore al quale si devono i più bei Cristi in legno dell'arte isolana.

Il frate scolpiva pervaso da un sacro furore. Chiamato di convento in convento lasciò il segno della sua arte in più paesi della Sicilia. Ora avvenne, narra la leggenda, che quando si trattò di scolpire la testa di questo crocifisso aidònese l'artista non si sentisse. Per più notti pregò ardentemente il Signore affinchè gli guidasse la mano. Ma gli occhi per il piangere gli si erano tanto arrossiti e il corpo per il digiunò tanto indebolito che le forze gli mancarono. Quand'ecco una notte la cella riempirsi di luce, una voce guidarlo nella chiesa, una mano armargli le mani dei ferri e quandi fu l’alba ai frati accorsi si mostrò il miracolo del crocifisso aidonese.

Anche qui le facciate sono tappezzate di manifesti di ogni colore politico: echeggiano ancora la recente battaglia elettorale. Nella piazza più larga non è stato imbrattato solo il monumento di Filippo Cordova, grande e misconosciuto figlio di questa terra. Cospiratore e ministro delle finanze nella rivoluzione siciliana del '48 gli si deve un progetto per la fondazione del Banco di Sicilia, l'istituzione del gran libro del debito pubblico, la battaglia per l’abolizione della tassa sul macinato. Amico del Cavour, poi ministro, padre della statistica ufficiale, lo condussero a morte la camorra e l’affarismo, pei dispiaceri che gli vennero dal marcio che denunciò esservi nella costruzioni dei canali Cavour e nel corso forzoso della moneta cartacea (1867-68).

Da tempo il ministro impassibile osserva la stessa tempra di tribuni vestiti di sempre nuovi colori. Certo egli non vede più il landau del barone; nè, se darà un’occhiata in chiesa, sola e distante dalle prime file di panche, vedrà la baronessa; nè là ogni donna portare il vestito che allora si addiceva alla posizioni sociale di ognuno. Ma non basta che in chiesa chi arrivi prima si sieda avanti. Troppo poco in un secolo. Perchè se ti guardi attorno, per il paese e per le campagne, come in molti altri paesi e in molte altre campagne dell’interno sembra che tutto si sia fermato nei secoli e che uomini cose se ne stiano immoti ad aspettare. Giacché i piccoli mondi paesani aspettano sempre. Da tempo, ad esempio, per le strade, per le fognature, per la luce, per l’acqua, per le case, con la pazienza dei poveri e la fatalità degli arabi. E gli uomini, quelli che lavorano in silenzio, sono fatti solo per solo per lavorare e aspettare. Gli altri sono gli intellettuali da caffè, amano il quieto vivere, fanno e disfanno il mondo, sputacchiano sui credi politici, rimpiangono il passato, scontenti di sè e del presente. Ma nel passato erano anche così.

Aidone è uno dei piccoli mondi paesani anche se ha strade da secoli e luce e acqua da cinquantanni; a parte il fatto di essere per la sua posizione uno dei più incantevoli posti dell'interno.

A sera riprendiamo la via del ritorno. A dieci chilometri dall’abitato ci fermiamo, guardando la strada percorsa. Le case di Aidone sembrano innumeri dadi addossati al monte; le porte e le finestre tanti piccoli «occhi» di dadi. Poi lassù le luci si accendono. Ancora un poco e le lampade pubbliche splendono disposte come in un altare, contro il cielo stellato. LORENZO PITTA’

pubblicato sul "La Sicilia . Quotidiano liberale"- di sabato 7 luglio 1951

 

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