O. Profeta odia il prossimo tuo CAP. XVI

CAP. XVI

Andàtasene Letizia, la vita prese un ritmo di fuga, come quando cade la tela del sabato santo e il sacerdote libera un volo di passeri nella chiesa. Restò il suo corpicino, vestito di zaffiro, tra i fiori e le candele e al mattino vennero a portarlo via, mentre le verginelle dell'Orfanotrofio cantavano l'inno - in paradisum.
Allora tutta la casa stupì, e ciò ch'era stato dimenticato, e pareva impossibile ricordare, ebbe senso e linguaggio; e la signora Assunta conobbe questa lettera del marito:
«Moglie mia cara,
«Qui succedono miracoli! Oggi, mentre il Pubblico Ministero (bontà sua) me ne diceva di tutti i colori, è venuto in Tribunale il prefetto, in persona, ha fatto chiamare il presidente e gli ha consegnato l'incarto di un'inchiesta da lui condotta, tra le cui risultanze ci sono documenti che mi giovano: perciò la causa è rinviata a domani. Io sono contento, anche perchè mi pare che Ricobelli (il nuovo provveditore) mi voglia bene e questa sia opera sua. Speriamo! Giudè dice che domani, appena mi assolvono, si ubriaca alla mia salute. (A proposito, meno male che si è deciso ad accompagnarmi: è stato un grande aiuto, povero sciancatello!) Basta: domani spero di telegrafarti la vittoria. Per ora, ti abbraccio coi figli.
                                                                                                                 Tuo    MARCO.

Accanto alla lettera, giaceva questo telegramma:- Assolto, reintegrato, parto subito. MARCO

Le parole che erano state attese con tanta speranza, per mesi e mesi, caddero in un vuoto silenzioso, senza luce: poichè tutte pensavano a Letizia, che ne aveva pagato il prezzo con la vita.
D'un tratto, la signora Assunta: parve destarsi:
- A quest'ora è vicino, singhiozzò. E non troverà sua figlia! O pover'uomo, come potrai perdonarmi che non ho saputo difenderla?... Figlia, figlia mia piccola! Io, t'ho uccisa: con la mia stupida paura, col mio latte! Andàteglielo a dire prima che mi veda: correte! Oh povero vecchio!
Pregarono la 'gna Palma: ed essa andò al ponte del Canalotto, col pretesto di fare l'erba ai suoi porcellini d'India.
Da principio, don Marco non le badò; poi, man mano che si avvicinava a casa, notò che più d'un paesano, incontrandolo, si faceva serio serio e salutava quasi con tristezza, mentre la sensala non finiva più di parlar di Letizia ed ora, ogni tanto, si soffiava il naso, come per non piangere.
Allora, ogni pietra e i fili d'erba e la luce ed ogni suono, tutto, cominciò a gridare il nome della bambina.
Finchè il vecchio andò a cadere di schianto sopra il divano rosso e restò là, muto, senza un gesto, tanto che avrebbero potuto anche dimenticarlo.

….O Signore! Era la più piccola e me l'hai levata. Mi sosteneva perchè era la più piccola, e me l'hai levata! Perchè, me l'hai levata!...

Dio rispose spargendo sempre più sole e calore sul mondo; e così tornò maggio, la festa Filippo, le rose; gli apostoli di tutte le chiese si destarono, aprendo gli occhi enormi dentro le casse chiuse nelle sagrestie. Si sentiva la loro voce.

- Ecco: l'erba è come la carne e ogni splendore della carne è come il fiore dell'erba.
- Prendi per mano i figli e allèvali al cospetto di Dio, che ti crescano in grazia e in istatura.
E finalmente, come una musica:
- Levati, figlio! E lavora, oggi, nella mia vigna.
Ecco i bianchi muri della scuola, la piazza di San Domenico e gli alberi di fila, sotto cui giocano i fanciulli...
Il vecchio si è «levato », secondo il comandamento di Cristo: è uscito a rivedere le sue cose, il paese, tutte le pietre. le vetrate lucenti, il sole su tutte le pietre.
Ogni distacco è illuminato e si salda nella continuità penosa e pur dolce che riconosce la vita.

Com'è bello il piano di santa Maria, con tutte le acacie in fiore!
Ci sono i torronari con le loro caprette e i pesci e i soldati di zucchero, rossi e trasparenti come vetro soffiato; c'è il lupinaro, col sacco tra i ginocchi e la quarteruola in mano, colma d'oro e di neve; poi, le terraglie di Sciacca, le lucernette di Licata, gli orciòli di Calatafimi; ed anche il ferraro: seduto come un turco dentro un cerchio di zappe e di roncole.
Ma soprattutto, per la felicità dei bambini, c'è il venditore dei piccoli sanfilippi di terracotta, che hanno le faccie impeciate, gli occhi bianchi e il fischietto alle spalle.
- Siete contenti? - domanda don Marco ai suoi due «briganti », dopo aver loro comprato due di questi sanfilippi.
Bruno e Santo, sì, sono felici.
Chi è malinconico, invece, è Pricone, l'asino: il quale non capisce perchè il suo padrone, ora che ha riscosso tutto questo «arretrato » ed ha potuto riscattare la stalla e la terra del Poggio, non voglia più andare in campagna. Che aspetta, forse, che cominci a piovere? Ora, è bello!
Pricone dice bene: ma la terra sarà come prima, quando c'era Letizia, che aspettava davanti la soglia, mentre il padre scendeva dal Casalino, sotto il parasole grigio?
I fiori del granato e il mirtillo risposero di sì: e allora cominciò la vita di ogni anno: andar su, la mattina; tornare al tocco; mangiare; riposarsi un momento; poi zappettare nel frutteto, innestare, dar l'acqua alla verdura...
Finchè la terra diventò gialla: i mietitori fecero i covoni; le mule cominciarono a entrare nell'aia, e i contadini a règgerle da lontano, come i bambini gli aquiloni.
Oh, i bambini!
- Dove sono più!? Non ci sono che i figli, ormai - pensa don Marco.
(Per sostenere i «bambini » di un'altra pianta, dicono gli alberi incalmati, ci siam lasciati ferire dal tuo coltello, eppoi legare e impeciare, ad occhi chiusi. Tu devi nutrire anche i figli degli altri: e questo non si può fare senza pena. Torna ancora a tentare, e vedrai...)
Ma i suoi scolari non sono più quelli che cantavano la canzone e lo guardavano negli occhi: sono ciechi, non lo vedono, non l'amano: respirano ancora il tedio d'una supplenza frodata, durante la quale il supplente Laspina li ha vuotati della loro innocenza, stampando il suo volto di fauno sulle pareti inutilmente estenuate.
Sulle loro spalle pesa il buio delle strade più nere e delle case più oscure del paese: non hanno colpa! Hanno perduto ogni luce, sono storditi e cattivi.

Don Marco ne ha sconforto e disgusto: ma che cosa può fiorire, oramai, dal suo cuore, che non sia già destinato a cadere nel vento?
La sua stanchezza cresce in lui come un'alta marea che voglia sopraffarlo: la sua fede si piega e ammutolisce ogni giorno dippiù, mentre cerca le parole che dovrebbero fare il miracolo.

 

 


A metà giugno, si era alzato prestissimo: quando ancora la notte indugiava nei trasalimenti che annunziano l'alba; e man mano che la luce cominciò a penetrare nella scorza della terra, gli parve che il suo sangue diventasse tanto leggero da sollevarlo alle altezze ove si consumano i salmi.
Giunse tra i suoi scolari, con la voce fresca, gli occhi accesi, la volontà temprata alla nuova battaglia che gli pareva di dover combattere per vincere finalmente quel branco di piccoli selvaggi. Ma fu una lotta vana: lo guardavano incuriositi, come se ad ogni sua parola gli si posasse sulla faccia una maschera mutevole: e, invece di avvicinarsi, si allontanavano come cresciuti di statura e diventati vecchi, brutti, con occhi gonfi di scherno sotto la fronte ancora inesplicabilmente liscia.
Don Marco si smarrisce, comincia a inseguire le parole, che rimbalzano dalla scolaresca dentro il suo petto; suda freddo; si riprende: tace, e si mette a guardare di là dai balconi aperti, nella trasparenza dell'aria.
Silenzio.
Il maestro canta.

S'è messo a cantare, solo.
- ...Siam bambini, eppur sentiamo...
Che cosa?
Ridono, escono come una valanga dall'aula, senza un saluto, senza un segno di bontà.
Eccoli sulla spianata: arrampicati ai rami, o nascosti dietro il tronco d'un acacia, dimèntichi, inebriati di gioco: non vedono più che questo: giocare, ridere, inseguirsi.

E una pietra cieca colpisce il maestro sul parasole, poi un'altra, un'altra...
L'hanno fatto apposta?
- Giocano! Non hanno colpa, - dice don Marco.
Però barcolla, come se i suoi pensieri cadessero improvvisamente nel nulla, tutti insieme.
Il cuore fa male...
Freddo alla schiena...
Non importa: un sigaro tra i denti e si passa come un re, anche in mezzo ai lupi: non bisogna fermarsi.
Ecco il Mancuso: perchè le montagne girano e tutto corre, precipita, come nella piena d'un torrente?
Un capogiro: gli uccelli sono fermi a cantare, tra le rame delle quercie: il sangue grida - bisogna far presto, se vuoi vedere l'ultima volta le tue cose...
La masseria di Ramunno...
Le due pietre d'oro, all'ingresso del viottolo...
La svolta...
Il Casalino!
Ed ecco Pricone che pascola, le tre casette che fumano nella conca verde...
Don Marco può distendersi un momento sull'erba, come sopra un letto: si distende e guarda, felice: poichè laggiù, davanti la porta della sua casa di campagna, ora vede Letizia.
La quale non è morta, no: cammina tra il verde delle piante; prende la mulattiera e viene fino a suo padre, che ha la testa posata tra i papaveri e non riesce più a chiudere gli occhi.

Marina della Rena Mascolucia sull'Etna 1931.

FINE.