O. Profeta "Odia il prossimo tuo" CAP XI

CAP. XI

In quasi un mese, Pricone è andato solo una volta a macinare due sacchi di grano, al mulino di Chianelli: ed ha un gran desiderio di rivedere le prode e i fossi del Poggio. Ma don Marco pare abbia sempre sonno: e chi dorme d'agosto, dorme a suo costo.
Trascurati gli innesti, le pesche e le albicocche, le gemme dei peri, le cipolline bianche, le lattughe della passione: tutto! Anche nella villetta, i fiori, non riparati, sono morti di sole.
Sonno e stanchezza, ha don Marco: e non vorrebbe altro che dormire, poichè si dimentica bene, quando si son chiusi gli occhi e si può sprofondare in un grande spazio buio.
Spazio buio e vuoto.

-Vattene in campagna. - dice la signora Assunta: - l'aria ti darà energia; poi, ci son da trapiantare le fragole e tu sai che mi piacciono. Su, benedetto uomo: non t'accasciare. Se caschi tu, Dio liberi, casca tutta la casa: fatti forza e torna in campagna. Mi senti? Anche ad aspettare ci vuol pazienza!
Così venne settembre e col primo temporale risciacquò la faccia della terra, tutta rugosa di maggesi e di zolle smosse, tra biancane e calestri. Aratri lenti, qui e là; solchi leggeri come scalfitture, tanto per far credere alla terra che la sua fertilità è tormento d'uomini e di buoi.
Detta o sottintesa, preghiera o voce d'istinto, la quarta domanda del Pater, « dacci oggi il nostro pane quotidiano » tornava a riempire da sola il più tragico mistero del mondo, che è il bisogno.
Anche lui, don Marco, voleva il suo pane: ma lo voleva veramente oggi, perchè il suo scoraggiamento e la sua vecchiaia gli facevano temere che « domani », forse, sarebbe stato troppo tardi.
Le sue ansie, il suo dolore, la realtà della sua vita, non gli permettevano differimenti, si traducevano al tempo presente: domani poteva significare la fame.
Fu dunque necessaria un'altra tappa sulla via del Calvario.
Egli era come il povero della leggenda, al quale l'uomo-grigio, il Satana borghese, aveva tolta la compagnia necessaria dell'ombra, che è la reputazione, attraverso la quale il nostro prossimo ci riconosce e ci dà credito. Era: l'uomo senza ombra; e ormai non poteva più camminare senza destare allarme e sgomento o sorrisi da parte dei fedeli del diavolo.
Pensò ai suoi fratelli: quale dei due lo avrebbe aiutato? Uno, don Berto, viveva nella scorza del suo egoismo come dentro le scaglie d'una pigna; l'altro era governato dalla moglie, ma non era cattivo: e questi era don Biagio.
Andò a trovarlo a casa, una mattina dopo la novena alla Madonna, e lo trovò che scherzava bonariamente con Mantella, il suo minuscolo “amanuense”, il quale, piccolo come era.

Lo accolse con sorpresa e contentezza: si vedeva che tutto il suo passato veniva incontro ad abbracciare il fratello, teneramente: ma con un senso di ritegno, quasi di paura. Sorrideva, invitava don Marco a star comodo (perchè sulla sedia? siediti qui, nella poltrona!) e intanto si guardava alle spalle, vigilava come se stesse. commettendo un delitto o un'imprudenza.
Era l'incubo della moglie, che lo ossessiona va sempre.
Don Marco disse perchè era venuto: aveva assolutamente bisogno di cento, duecento lire, se don Biagio poteva.
Nella foga di dire, poi che vede la bontà del fratello tralucere da tutta la sua povera faccia decrepita, don Marco si è commosso di una specie di pietà di se stesso; non si sorveglia più e pronuncia perfino la parola «carità».
Bellissima parola, senza dubbio: ma, appunto perciò, pericolosa come tutte le grandi parole che nella confusione e nell'abuso dei segni del linguaggio universale si lasciano alterare e, talvolta, disonorare.
Don Biagio n'ebbe paura.
Certo, s'egli non avesse avuto tanti affari, se avesse avuto il tempo di riflettere, avrebbe inteso che la carità è principio e sostanza d'amore: ma egli aveva il cervello troppo attento ai minuti conti della giornata; eppoi, si era allarmato: e, allarmandosi, aveva implicitamente distrutta in lui la vita, era diventato “niente”: perchè la vita è amore, e chi non ama è “niente”.
Non potè, dunque, misurare nemmeno la distanza e la relazione tra la ricchezza sua che diventava miseria e il suo peccato: gli parve d'esser sincero, dicendo che non aveva un soldo: e invece mentiva.
Oramai, la paura e l'egoismo ridestatosi in lui, avevano fatta alleanza: transigendo così con la sua coscienza, anche se si fosse voluto riprendere, o pentire, non avrebbe più conosciuta la carità nella sua pienezza: ogni accomodamento con la sua anima, non gli avrebbe più dato l' “assoluto”, che è la forza dell'amore. Il suo peccato sarebbe sempre rimasto a pesare, nella bilancia della giustizia divina.
Sopraggiunse la moglie.

Appena seppe di che si trattava, inasprita dall'abituale bisogno del contrasto in cui quotidianamente sperimentava il suo dominio, disse, con voce tagliente:
- Cento lire? Ma dagliene duecento! Non l'hai visto, in chiesa, mentre cantavano la tua coroncina, come se la scialava in mezzo ai villani?
La sua risata si distese come una serpe tra i due fratelli.
E don Marco pensava: è possibile, questo? è possibile, tra gente nata dallo stesso ventre? E vedeva Letizia, la sua piccola bisognosa, coi ginocchi a fossette e la camicia colore del cielo.
- Non è vero, cognata, - protestò allora, cercando la sua voce più grave e serena.- Io non ridevo. Piuttosto, vi prego, lasciatemi parlare a mio fratello: ieri ci siam dovuto prestar pane dalla Pula: mi capite?
- Ma questo cápita a tutti! - schernì ancora la donna. - A un professore, poi, chi non presterebbe una pagnotta?

-Voi! - scattò finalmente don Marco.
- Voi: che siete nera come la pece e avete smidollato il migliore dei miei fratelli!
La cognata, a questo punto, visto che dietro le sue spalle c'era il divano, vi si lasciò cadere e svenne.
I due fratelli si trovarono insieme a sostenerla e le loro mani, incontrandosi, parvero riconoscersi e indugiarono, l'una nell'altra: don Biagio s'intese rammollir tutto, e gli parve di potere anche piangere, come un bambino. Don Marco lo guardava intento, carezzandolo con gli occhi pieni di tristezza.
Mantella, accorso dallo “studio”, cominciò a spruzzar d'acqua la faccia tonda della signora: e quando vide che questa rinveniva, (avendo egli udito ogni cosa, dal suo posto) disse:
- Per accomodare, perchè non fanno una anticresi sulla terra del Poggio, lorsignori?
- Affari vostri! - fece la signora, fingendo ancora d'essere tutta rimescolata: e intanto strizzava l'occhio al commesso, per dire che poteva insistere. Poi se ne andò a scodellare i ravioli.
Don Marco, a vederla quasi rotolare come una palla sul pavimento, ebbe un senso di spavento. «Dopo tutto, - pensava come in un incubo, ha le gambe troppo corte... » - Più tardi, firmò il contratto di prestito: centocinquanta lire, con gli interessi scontabili ad anticresi sul fondo del Poggio, e ipoteca sulla stessa terra, fino a duecento lire.
Se ne andò come se gli avessero levato gli occhi.
Centocinquanta lire! Quindici, venti giorni: poi, l'usuraio.

                                                               *
Nella « Sezione Ricorsi », al R. Provveditorato, squilla rabbiosamente il campanello: un colpo? Caporeparto.
Panicale si precipita nel gabinetto del Provveditore.
Ricobelli, seduto dietro lo scrittoio, coi gomiti sopra un mucchio di carte da cui leva appena lo sguardo, gli dice di accomodarsi poi continua a leggere con grande raccoglimento.
A un certo punto, domanda:
- Panicale, sa, lei, che è una canaglia?
- Come?
- Non si spaventi; ora glielo dimostro. Ho qui, sott'occhio le sue “illustrazioni” al ricorso D'Auria. Capisco perfettamente che il consiglio Scolastico non ne terrebbe alcunissimo conto, finchè c'è di mezzo la mia barba. Dimostrano però che lei è una canaglia.
Panicale divenne verde, giallo, viola: si toccò il naso, capì che non si trattava di un sogno: e allora disse con un certo fare vibrato che non poteva permettere, al signor commendatore...
- Lasci stare: anche se lei non permette, io le dirò che i suoi « fogli di lume » intrufolati apposta nella pratica, hanno magnificamente fatto il gioco del signor... Come si chiama?... L'onorevole! Perfettamente: vede come capisce? Il che prova che i metodi borbonici affinano l'intelligenza. Disgraziatamente per lei, caro Panicale, se il mio predecessore era un sorcio, io sono un gatto lombardo: e questi metodi, con me, non vanno: sono vecchio, non temo padroni e la lotta mi esalta. A Roma, dice lei? A Roma... ci sono sette colli. Se mi mandano a casa, ho un roccolo vicino a Lavenone, e so uccellare senza passeri ciechi. Ora, stia a sentire. Avrei due strade, per liberarmi di lei: proporla per la promozione «ut admoveatur», o esonerarla per insufficienza. Io scelgo la seconda: le conviene? (Panicale tremava di rabbia). Vedo che le non va. E allora, amico mio, bisogna intendersi. Oggi come oggi, parlare. Poi, cambiare sistemi. Intanto, fumi (e gli offriva il portasigari) così comprenderà con più chiarezza il senso delle cose che io le andrò domandando.
Panicale ficcò due dita orribilmente gialle tra i sigari: e mentre andava scegliendo quello che avrebbe fumato, pensava queste cose: - Lo scarafaggio, quando che lo toccano, fa il morto: poi, passato il pericolo, si salva come può. Bisogna fare lo stesso. Del resto, l'onorevole è potente: questo, invece! (e lo guardava con gli occhietti ironici)... urrì, l'urzo: sei bello, Fofò!
Si rannicchiò sulla sedia, coi piedi sulla sbarra, come per isolarsi dai fulmini minacciati: e aspettò con pazienza.
- Dunque, caro Panicale, sentiamo: lei conosce la pratica D'Auria?
- Come no: la so a mente: s'invoca il 186...
- Benissimo: sincerità e coraggio. Ora mi dica: qui c'entra la politica e lei è sotto pressione, non è vero? Coraggio!: chi lo... preme? E l'onorevole?
- (O vino a mezza lira! - scherzava Panicale, mentalmente). Poi, fingendo una grande paura disse:

- Ne va di mezzo commendatore bello! Stiamo attenti! il pane,
- Risponda chiaro: è l'onorevole?
- O san Gennaro, si... Ma questo ciuccio di maestro perchè si è messo proprio contro lui?
Ricobelli taceva, tra lo sdegno e la malinconia dell'anima sua, che già da tempo intuiva l'infamia or ora accertata.
A un tratto si ricordò che, secondo quanto leggevasi nell'esposto, in prefettura doveva “giacere” un altro ricorso, da abbinarsi con questo che egli aveva sul tavolo; e subito pensò a Lavriano: con «necessità». Alzò gli occhi tranquilli su Panicale, per congedarlo:
- D'ora innanzi, - gli disse, - faccia il suo dovere, prima di tutto davanti alla sua coscienza! Lo dica pure agli altri.
Poi, mentre il caporeparto se ne andava, staccò il microfono dall'apparecchio telefonico, nuovo lampante sopra il tavolo, e inaugurò la linea (da lui impiantata) con una parola:
- Prefettura!

Intanto Panicale diceva all'orecchio dell'usciere-capo:
- Corri dall'onorevole: se non è a casa è al tribunale. Digli che s'è aperta 'na vutta nova, e o padrone è asciuto pazzo. Quand'è sta sera, poi, digli che mi aspetti: è capito? Va!...

*L’anticresi è il contratto col quale il debitore o un terzo si obbliga a consegnare un immobile al creditore a garanzia del credito, affinché il creditore ne percepisca i frutti, imputandoli agli interessi, se dovuti, e quindi al capitale”.